Che una trasmissione come Report desti interrogativi, dibattiti e talvolta critiche è qualcosa di assolutamente normale e soprattutto apprezzabile: il programma di Rai Tre infatti per anni ha fatto del suo spazio settimanale un vero e proprio servizio pubblico, utile, attento, informato, capace di scuotere i telespettatori spesso ignari di truffe, raggiri e vizi della politica e della sanità, nonchè delle aziende e dei prodotti coi quali ogni giorno noi consumatori facciamo i conti. Chi non si ricorda i servizi sugli allevamenti italiani e non, la malasanità, gli ecomostri e l’inquinamento delle città, fino a quelli più chiacchierati come quello che ha riguardato un anno fa il tanto amato caffè e cornetto delle nostre colazioni, il giorno dopo la messa in onda argomento di conversazione di tutti al bar e non solo?In un’Italia in cui anche l’informazione in tv sembra essere messa sempre più in disparte Report era uno dei pochi porti sicuri, apprezzati da addetti ai lavori e non. Anche io da studentessa universitaria l’ho preso a modello, seguendo con attenzione e ammirazione un corso di giornalismo investigativo tenuto da alcuni giornalisti della sua redazione all’Università Cattolica di Milano. Sì perché quello che faceva Report era investigare, ovvero fare quello che dovrebbe essere richiesto a chi come me fa il giornalista di professione: indagare, conoscere i fatti e capire cosa c’è dietro, le motivazioni, i perché, i come, stimolando interrogativi, a volte ipotizzando risposte, ma soprattutto cercando di fare luce sulla verità per dovere di cronaca, per rispetto nei confronti del lettore o del telespettatore in questo caso.

Ma da qualche mese a questa parte anche un programma come quello per anni condotto dalla bravissima Gabanelli sta riscuotendo non poche perplessità. Ultimo caso di questo malcontento è stato il servizio andato in onda lunedì sera sul ruolo dei food blogger e influencer in Italia: un’occasione per fare chiarezza su un tema tanto attuale quanto dibattuto. Un’occasione purtroppo persa.

Sì perché per chi fa informazione si è andato a toccare un argomento con cui ogni giorno ci troviamo a fare i conti, un tema che ha assolutamente bisogno di chiarimenti, ma soprattutto di regole nuove.

Per il telespettatore medio che non fa né il blogger né il giornalista era importante che andasse in onda un servizio vero, chiaro e reale, e invece come sempre è uscito fuori che i blogger fanno markette, che sono più o meno tutti uguali (grandi nomi e non), che è la moda del momento e che grazie a questo si fanno tanti bei soldi, che il cibo ora interessa a tutti e che ognuno può dir la sua ecc ecc

Ad essere stati interpellati alcuni nomi illustri, alcune amiche, come Chiara Maci e Sonia Peronaci, che sono state tra le prime, che svolgono questo mestiere con serietà, cura e devozione, che sono food blogger ma anche tanto altro e che sono seguitissime per una loro caratteristica: il loro essere vere, reali, spontanee. Una cosa che soprattutto nel web paga tantissimo.

Il servizio di Report ha posto molti interrogativi, ha svelato poco ma soprattutto ha fatto poca informazione di qualità. Non che sia tutta colpa di Report beninteso ma c’è bisogno di far chiarezza, di informare davvero chi sta dall’altra parte della TV o in special modo del pc parlando di blog e social. In tutti i mestieri c’è chi fa il proprio lavoro con serietà, professionalità e onestà, che si tratti di medici, avvocati, politici, insegnanti, giornalisti, blogger e così via. Inutile fare di tutta l’erba un fascio, inutile perché controproducente per tutti, per chi ha il diritto di essere informato e chi ha il dovere di informare e farlo bene. La questione è molto più profonda, più complessa, di quello che si è voluto raccontare in pochi minuti di trasmissione e lo sappiamo bene noi che viviamo di informazione, che si tratti di giornalisti o di blogger. Lo proviamo sulla nostra pelle ogni giorno in una professione che ci sta mettendo a dura prova per una regolamentazione da un lato forse troppo vecchia, ma che ha una sua corretta deontologia, un mestiere che è e sta cambiando sempre più e per il quale anche noi dobbiamo cambiare, un lavoro che pretende forse più di quello che dà oggi come oggi. C’è bisogno di etica, di verità, di serietà e non è l’appartenenza a una categoria a darcele, ma il nostro modo di essere, di scrivere e di lavorare.

La crisi dell’editoria ha portato di conseguenza alla crisi di una professione, quella del giornalista, che, andando dritti al cuore del problema, non ha più una sua dignità professionale a livello contrattuale. In una professione che prima era una vera e propria casta, con moltissimi benefit, contratti d’oro e tanti tantissimi sprechi, oggi, come giustamente si è detto alla fine del servizio, si sta perdendo una generazione di giornalisti, alcuni dei quali molto bravi e preparati, ma precari, che faticano a lavorare e a farsi pagare.

La situazione quindi è questa in sintesi: da un lato ci sono i giornalisti sempre meno in regola coi contratti che vanno di tre mesi in tre mesi, che vengono pagati a pezzo e spesso, ve lo assicuro, prendono meno di una donna delle pulizie per un’intervista su un quotidiano; dall’altra questa nuova categoria professionale rappresentata dai blogger, che non avendo un editore o un capo a cui rispondere guadagnano direttamente dalla pubblicità o dalle aziende che vogliono investire nei loro strumenti. Il problema nasce spontaneo: le aziende decidono di non investire più nel cartaceo o nella tv, trovando poco riscontr, e spendono, dopo anni in cui il web non veniva preso in considerazione in Italia dal punto di vista promozionale, i loro budget invece nei blog e nei social network degli influencer.

Ecco qui il problema: i blogger possono farlo e fanno bene a farlo dal loro punto di vista perché non hanno nessun tipo di regolamentazione deontologica, se non quella che la propria etica e morale gli impone, i giornalisti invece no, perché non possono fare pubblicità in alcun modo e perchè avendo una serie di regole da seguire, per dovere di cronaca, per rispetto della verità e dell’imparzialità, devono scrivere di tutto e di tutti, senza avere il giudizio corrotto e influenzato da un qualsivoglia beneficio economico nel parlare di un’azienda piuttosto che di un’altra. Ovviamente è corretto e per questo motivo se noi giornalisti dobbiamo raccontare un prodotto, che si tratti di una crema solare o di una pentola antiaderente per farlo dobbiamo costruirci intorno una storia su come è fatto, su chi c’è dietro, su una tendenza, su una moda, non possiamo sbatterlo così in prima pagina perché a noi piace. Che fatica! E invece le blogger lo possono fare, accontentando le richieste di aziende che finalmente possono sponsorizzare direttamente il prodotto e non aspettare voli pindarici.

 

Come risolvere questa situazione? Allora intanto servirebbe una nuova regolamentazione della professione giornalistica, attuale e al passo coi tempi, servirebbero tutele nuove per chi sceglie di fare questo mestiere, servirebbe un modo di pensare diverso, che paga il lavoro dello scrivere su un giornale e non gli fa invece elemosina. Dall’altro per i blogger servirebbe qualche regola in più per premiare chi lavora seriamente e non solo chi ha migliaia di follower sui social network, servirebbe una formazione, elemento necessario per svolgere qualsiasi mestiere.

Sì perché oggi chiunque può aprire un blog e dire la sua e a tutelare il lettore non c’è nulla e nessuno. E purtroppo ci sono blog seri e non, facile capirli a mio parere, ma forse non per tutti.

Sul mio cammino ho incontrato giornalisti bravi e non, blogger improvvisate e non, ogni giorno mi scontro con chi ha una grande preparazione e chi invece si e’ svegliato il giorno prima con l’idea di fare qualcosa nella vita che sembra facile ma non lo è affatto. Il lavoro più bello ma più difficile de mondo: l’informatore! La colpa è di tanti anche di noi giornalisti, o meglio di alcuni giornalisti che hanno vissuto i fasti degli anni d’oro, che hanno sperperato i soldi degli editori, che non hanno voluto aggiornarsi in una professione invece che richiede costante aggiornamento, e soprattutto di quei giornalisti fannulloni e ce ne sono moltissimi che occupano le scrivanie di tante tantissime redazioni, percependo lo stipendio, ma non lavorando, togliendo il posto a chi farebbe certamente meglio e così l’emorragia editoriale continua a mietere vittime.

C’è bisogno di maggior chiarezza, lo meritiamo tutti, gente come me, come i miei colleghi giornalisti precari che lavorano ma non vengono pagati, i blogger bravi (e ce ne sono eccome) , seri e informati, come Chiara Maci , Elena Schiavon, Francesca Guatteri, Fashion Politan by Lucia Del Pasqua , Sistiana …, lo merita chi apre ogni giorno un giornale perché crede ancora di trovarci fatti, domande e risposte, lo merita chi segue un blog con passione, affetto e fedeltà, trovandoci un po’ di se’, un po’ di ciò che vorrebbe essere e un po’ di un quello che è il mondo che all’improvviso sembra più vicino a tutti noi. Insomma che dietro a un pc ci sia un giornalista o un blogger importa poco se è la verità ad essere preservata e ricercata!
Vi consiglio la lettura del post di Lucia Del Pasqua (la firma del blog fuori dagli schemi e ironicamente intelligente Fashionpolitan) pubblicato su Lettera D

 

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