L’insostenibile leggerezza dei social è andata in scena in piena estate, tra il caldo del sole ferragostano e quel tempo lento e frivolo delle giornate in spiaggia, dove le notizie che corrono di ombrellone in ombrellone hanno l’impalpabile frivolezza di un video di animali da ridere o di una semivip paparazzata in barca che ci fa pensare che alla fine ad aver la cellulite siamo proprio tutte. Tra quel chiacchiericcio da sdraio che ci fa sentire un po’ tutti esperti di affari internazionali, politici, economisti, capaci di risollevare le sorti di un Paese intero, c’è anche l’ardire di atteggiarci a critici e tuttologi di qualsivoglia materia, si tratti di viaggi, moda, salute e ovviamente cucina.
“Prenoto per stasera alla pizzeria….” e l’altro due ombrelloni più in là “No non farlo Trip Advisor ha 3 recensioni pessime su 100. E’ da evitare”, oppure “Ah ieri sera siamo stati al ristorante di ….: niente di che, non te lo consiglio affatto. Mi sono fidato perché ne ho sentito parlare così bene dal volto della tv di quella trasmissione che non perdo mai”.
Ma dal semplice pettegolezzo da spiaggia a un post su Facebook il passo ormai è sempre più breve: anzi ,vuoi mettere la comodità di scrivere due righe sul cellulare, mentre la famiglia è in acqua a giocare a palla e il sole dell’una supera i 40 gradi parlando a qualche centinaio di follower piuttosto che fare una sana chiacchierata che può prevedere anche un contraddittorio con chi magari ne sa qualcosina più?
Ad essere preda di questa insostenibile leggerezza dei social nessuno è immune, che si tratti del teenager svogliato buttato sulla sdraio dopo una notte in discoteca e annoiato della vita, alla casalinga che sui social riesce finalmente a dar voce alle proprie idee e alle proprie ambizioni mancate, fino al professionista che pensa di sapere tutto di tutti, di conoscere meglio di qualsiasi chef l’arte dell’alta cucina, della ristorazione, del come devono essere fatte certe cose.
Ecco allora che in quest’estate di Amore e Capoira, dove l’argomento più chiacchierato è senz’altro il matrimonio dei Ferragnez, a cadere nella rete del post veloce, frivolo, scambiato sempre con una risata tra le quattro mura di casa invece che soppesato come al contrario andrebbe fatto, è stata l’autorevolissima e seguitissima Milena Gabanelli. Sì proprio lei. Una delle poche giornaliste che fanno ancora dire al popolo italiano che questo mestiere ha un suo perché, la cui voce spesso ha mosso persone, società, aziende a cambiare, ma soprattutto a pensare, grazie alle sue inchieste e alle sue indagini.
Eppure anche lei, volto e voce di un giornalismo che fino a ieri sembrava dedito all’informazione, a fare davvero un servizio, mettendo in luce ciò che era stato in ombra, non ha resistito a quel richiamo diabolico del commento facile, della critica veloce, che non è argomentata ma che si autoalimenta di luoghi comuni, di populismo e di invidia.
Lei che già in più di una occasione aveva trattato nel suo seguitissimo Report il tema del food, degli chef e delle blogger che si occupano di questo settore, è scivolata nella trappola del facile e veloce meccanismo dei social.
La scena è questa: Milena Gabanelli è a cena in un notissimo ristorante di Bologna, dove Aurora Mazzucchelli, ha dato forma e cuore alla sua cucina. Ad un certo punto la giornalista si vede arrivare un piatto e con la normale spontaneità di chi si trova a tavola con amici commenta la pietanza davanti a lei. La cucina è anche questo: convivialità, confronto, dialogo. Chiunque di noi si è lasciato andare a critiche e opinioni più o meno giuste e più o meno fondate. Ma la Gabanelli da mesi firma del Corriere della Sera con una sua rubrica decisamente interessante dal nome “Dataroom” non resiste e allora scatta come qualsiasi altra persona che sia su questo pianeta nel 2019 una foto con il suo smartphone.

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Non importa se con poca risoluzione o buia, l’importante è immortalare quell’insieme di ingredienti disposti con una logica che può sfuggire. Mentre gli altri commensali continuano a cenare la giornalista posta la foto e la accompagna con queste righe: “NULLA DI PESANTE. Questo è un antipasto. Non so cosa ho mangiato perché non sono riuscita a sentire il sapore (merluzzo mantecato c’era scritto). Ma questi chef…?!”
Come una valanga l’effetto del post è enorme e in poche ore raggiunge i 2000 like e oltre 1000 commenti.
Il risultato è stato raggiunto: migliaia di persone che da sempre seguono la giornalista, che la ritengono una voce autorevole, informata, seria, condividono quel suo pensiero scritto di getto. Giusto il tempo dell’arrivo di un’altra portata ed ecco che la comunicazione è stata fatta. Non importa se priva di dati, di nozioni, di risposte. L’insostenibile leggerezza dei social ha vinto contro la più antica e comune arte di domandare, di chiedere lumi, di confrontarsi con qualcuno, che in questo caso è uno chef apprezzato in Italia e nel mondo per le sue doti e non per chissà quale comparsa in tv o raccomandazione. Quella che sono certa essere stata una entrèè del menù degustazione che la giornalista e i suoi amici avranno mangiato poteva essere l’oggetto di un dialogo tra una delle persone più influenti in Italia in fatto di informazione e una professionista del gusto. Solo così i luoghi comuni, la poca conoscenza e i preconcetti possono essere dissipati. E invece la battaglia che ogni giorno i ristoranti più o meno stellati del nostro Paese devono affrontare, tra clienti che si sentono ispettori Michelin o con più leggerezza concorrenti di qualche noto talent culinario, poca cultura dei prodotti, delle lavorazioni, fino ad arrivare ai costi e alle dinamiche che riguardano un ristorante, in questo caldo agosto è stata inasprita da chi ha sempre voluto fare chiarezza invece che lasciarsi andare alla disinformazione, alle fake news, ai preconcetti. Ma ad acuire ulteriormente l’effetto di quel post sono state le risposte ai commenti accompagnate persino da simpatiche faccine: la giornalista infatti ad uno dei suoi follower ha scritto “Comunque il ristorante è piuttosto caro ed i tavoli tutti occupati. Significa che le persone gradiscono questa lieve forma di masochismo… :-)). ”

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L’esempio più grande di disinformazione ai danni non tanto dello chef ma della cultura che può e deve essere fatta nel nostro Paese è quello della pizza di Chef Carlo Cracco. E’ bastata la foto (bruttissima) e il commento di un giornalista di un noto quotidiano a creare un vero e proprio caso internazionale. Se ne parla ovunque e da mesi quando incontro qualcuno a bere il caffè o dal parrucchiere mi viene fatta questa domanda: “Ma com’è la pizza di Carlo Cracco?”
Per chi non lo sapesse ancora la pizza dello chef stellato è buonissima e il giornalista che diede vita al caso pizza Cracco non si era nemmeno preso la briga di assaggiarla prima di scriverne. Lo ha fatto solo due settimane dopo, quando già era sulla bocca dell’Italia intera.
E badate bene il danno non è stato fatto allo chef, che anzi ha visto impennarsi le richieste della sua pizza, che già a mezzogiorno vede l’impasto finito, ma il vero grave danno è stato fatto a noi italiani, usciti ancora una volta da questa storia un po’ più ignoranti e più incattiviti verso quell’Italia che lavora e lo fa bene, che viene guardata con interesse e ammirazione nel mondo e che invece noi buttiamo giù ad ogni occasione.
A chi è ai fornelli lasciamo il compito di stupirci, emozionarci e renderci felici grazie ad un piatto, frutto di lavoro, studio, impegno, a chi invece è dietro la tastiera come me e come Milena Gabanelli indulgiamo nella missione che la nostra professione porta con sé: fare informazione. La critica sterile, vuota e populista lasciamola a chi si sente importante con un click.

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